mercoledì 24 novembre 2010

Riflessione sulla nonviolenza e il perdono

La nonviolenza è, lo sappiamo bene, trasformazione creativa dei conflitti.
Eppure, l'esperienza quotidiana delle relazioni interpersonali ci mostra che in taluni casi non solo i conflitti non si risolvono, ma che è addirittura impossibile sperimentare modi di separazione giusta, di riconciliazione pur nella distanza, di scambio tra le parti configgenti improntato a umanità.

È il fallimento della nonviolenza? Direi di no, ma anzi la circostanza in cui si rivela che la nonviolenza è innanzi tutto un difficile percorso interiore, una conquista spirituale. Ogni essere umano è infatti uno scrigno misterioso, che non va forzato ma rispettato nella sua differenza, anche nella sua volontà di non soluzione. È  allora, di fronte alla chiusura dell'altro, quando ogni forma di dialogo viene rifiutata, che occorre fare appello alla propria forza d'animo, per trasformare creativamente il conflitto dentro di sé, traendone comunque un guadagno di riflessione e di crescita spirituale.
È il momento in cui ci scopriamo deboli nel nostro orgoglio. Ma se "amare puramente significa consentire alla distanza", secondo Simone Weil, allora anche nella distanza non più colmabile, non voluta o non accettata, c'è amore.
"Gli uomini ci debbono quel che noi immaginiamo ci daranno. Rimettere loro questo debito. Accettare  che essi siano diversi dalle creature della nostra immaginazione. Anch'io sono diversa da quella che m'immagino essere. Saperlo è il perdono
                                                                                                                                     Simone Weil
 

martedì 23 novembre 2010

Un giorno vennero a prendere me...

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento perchè rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali
e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti
ed io non dissi niente perchè non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me
e non c'era rimasto nessuno a protestare.


(Bertold Brecht)

Ah questi preti comunisti... 2

Il parere di Don Gallo sul testamento biologico

domenica 21 novembre 2010

Ora e Sempre Resistenza!

LO AVRAI CAMERATA KESSELRING
IL MONUMENTO CHE PRETENDI DA NOI ITALIANI
MA CON CHE PIETRA SI COSTRUIRÀ A DECIDERLO TOCCA A NOI
NON COI SASSI AFFUMICATI
DEI BORGHI INERMI STRAZIATI DAL TUO STERMINIO
NON COLLA TERRA DEI CIMITERI
DOVE I NOSTRI COMPAGNI GIOVINETTI
RIPOSANO IN SERENITÀ
NON COLLA NEVE INVIOLATA DELLE MONTAGNE
CHE PER DUE INVERNI TI SFIDARONO
NON COLLA PRIMAVERA DI QUESTE VALLI
CHE TI VIDE FUGGIRE
MA SOLTANTO COL SILENZIO DEI TORTURATI
PIÚ DURO D'OGNI MACIGNO
SOLTANTO CON LA ROCCIA DI QUESTO PATTO
GIURATO FRA UOMINI LIBERI
CHE VOLONTARI S'ADUNARONO
PER DIGNITÀ NON PER ODIO
DECISI A RISCATTARE
LA VERGOGNA E IL TERRORE DEL MONDO
SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE
AI NOSTRI POSTI CI TROVERAI
MORTI E VIVI COLLO STESSO IMPEGNO
POPOLO SERRATO INTORNO AL MONUMENTO
CHE SI CHIAMA
ORA E SEMPRE RESISTENZA! 
(A. Calamandrei)

mercoledì 17 novembre 2010

L'anfora imperfetta


L'ANFORA IMPERFETTA

Ogni giorno, un contadino portava l'acqua dalla sorgente al villaggio in due grosse anfore che legava sulla groppa dell’asino, che gli trotterellava accanto.

Una delle anfore, vecchia e piena di fessure, durante il viaggio, perdeva acqua.
L'altra, nuova e perfetta, conservava tutto il contenuto senza perderne neppure una goccia.

L'anfora vecchia e screpolata si sentiva umiliata e inutile, tanto più che l'anfora nuova non perdeva l'occasione di far notare la sua perfezione: «Non perdo neanche una stilla d'acqua, io!».

Un mattino, la vecchia anfora si confidò con il padrone: «Lo sai, sono cosciente dei miei limiti. Sprechi tempo, fatica e soldi per colpa mia. Quando arriviamo al villaggio io sono mezza vuota. Perdona la mia debolezza e le mie ferite».

Il giorno dopo, durante il viaggio, il padrone si rivolse all'anfora screpolata e le disse:
«Guarda il bordo della strada».

«È bellissimo, pieno di fiori».

«Solo grazie a te» disse il padrone. «Sei tu che ogni giorno innaffi il bordo della strada. Io ho comprato un pacchetto di semi di fiori e li ho seminati lungo la strada, e senza saperlo e senza volerlo, tu li innaffi ogni giorno».


Siamo tutti pieni di ferite e screpolature, ma se lo vogliamo, Dio sa fare meraviglie con le nostre imperfezioni.
Ho fatto tanti sogni che non si sono mai avverati. Li ho visti svanire all'alba. Ma quel poco che grazie a Dio si è attuato, mi fa venire voglia di sognare ancora.
Ho formulato tante preghiere senza ricevere risposta, pur avendo atteso a lungo e con pazienza, ma quelle poche che sono state esaudite mi fanno venire voglia di pregare ancora.
Mi sono fidato di tanti amici che mi hanno abbandonato e mi hanno lasciato a piangere da solo, ma quei pochi che mi sono stati fedeli mi fanno venire voglia di avere ancora fiducia.
Ho sparso tanti semi che sono caduti per la strada e sono stati mangiati dagli uccelli, ma i pochi covoni dorati che ho portato fra le braccia, mi fanno venire voglia di seminare ancora.

Bruno Ferrero, 365 piccole storie per l'anima

"Posso? Scusi...Sono Cucchi Stefano"

Questo era Stefano Cucchi...

lunedì 15 novembre 2010

Gentilezza a casaccio

Praticate gentilezza a casaccio 
e atti di bellezza privi di senso
 


Annie Hebert
attivista per la pace 

Aprendo il giornale del mattino
troviamo dei titoli inquietanti:
ancora atti casuali di violenza insensata
Per motivi futili si uccide, si colpiscono selvaggiamente persone inermi...
Ogni giorno leggiamo esterrefatti questi avvenimenti
Sembra che il mondo intero sia  impazzito!
Qualcosa si deve pur fare...
Ho trovato questa proposta:
Praticate gentilezza a casaccio 
e atti di bellezza privi di senso

E' uno slogan che si è diffuso da po' di tempo  negli Stati Uniti e che ho recuperato dal web.
Lo trovo geniale e sempre valido, in tutti i tempi e a tutte le latitudini.

E' una gelida giornata invernale a San Francisco. 
Una donna su un'auto, con i regali di Natale accatastati sul sedile posteriore, arriva al casello del pedaggio per il ponte sulla baia. 
"Pago per me e per le sei auto dietro di me", dice con un sorriso.
Uno dopo l'altro, i sei automobilisti arrivano al casello, dollari in mano, 
solo per sentirsi dire: 
"Una signora lì davanti ha già pagato il biglietto per lei. 
Buona giornata".
La donna dell'auto, si venne a sapere, aveva letto qualcosa su un biglietto attaccato ad un nastro adesivo al frigorifero di un amico: 
"Praticate gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso". 
La frase sembrò rivolta direttamente a lei, e se la ricopiò.
Ora la frase si sta diffondendo, su adesivi, sui muri, 
in fondo alle lettere e ai biglietti da visita. 
Con il suo propagarsi, si diffonde anche la visione di una guerriglia della bontà.

La cosa interessante è che questi atti sono casuali, non richiesti, 
del tutto spontanei, fatti solo per far sorridere la gente, 
per farla sentire meglio.
E non si può essere destinatari di tali gentilezze senza provare uno choc, 
un sobbalzo piacevole. 
Se voi foste stati fra quegli automobilisti che si trovarono il biglietto del ponte pagato, chissà cosa sareste stati ispirati a fare per qualcun altro più tardi...
Avreste dato la precedenza a qualcuno all'incrocio? 
Avreste sorriso a un impiegato stanco? 
O qualcosa di più importante, di più grande? 
Come tutte le rivoluzioni, la guerriglia della bontà comincia lentamente, 
con un unico atto, 
ma poi dilaga ed è irrefrenabile.
Che sia OGGI il Nostro.

lunedì 8 novembre 2010

Autostima

"Signor Direttore, ritengo che il mio salario non sia adeguato alle mie capacità!"
"Lo so bene, mia cara. Ma non possiamo mica lasciarla morire di fame..."

Il mio nome


Mi chiamo Roberto. Per motivi “di famiglia”, come per molti di noi. Mia zia, sorella di mio padre, si chiamava Roberta, un nome che quando nacque, negli anni ’20, andava di moda per un film “Roberta” che aveva ottenuto un gran successo. Gli altri nomi di famiglia erano già occupati e Roberto la spuntò su “Stefano”, sostenuto da mia madre che soccombette nella dialettica coniugale (non era la prima volta e non fu l’ultima…).
Il nome che portavo mi piaceva. Era forse l’unica cosa che mi piaceva di me. Suonava bene, non era antiquato o strapaesano, era il nome di molti calciatori e in particolare di un idolo della mia infanzia, il portiere della Juventus Roberto Anzolin. Quando seppi che era un nome di origine germanica e che per di più significava “circonfuso di gloria” la mia soddisfazione raggiunse i vertice dell’eccellenza. La Germania voleva dire efficienza, serietà, combattività, tutti valori nei quali mi riconoscevo. Mi sentivo un po’ Sigfrido e un po’ Beckenbauer.
Anche il Santo che festeggiavo in occasione dell’onomastico aveva qualcosa di speciale. Ce ne erano due sul calendario. Mia madre decise che andava festeggiato il giorno di San Roberto Bellarmino. Un santo con un cognome (che inoltre suonava così bene…) mi sembrava più importante di un santo qualunque. L’onomastico era puntualmente festeggiato con auguri, doni e torta. Quando ero piuttosto piccolo e i miei lavoravano entrambi, ricordo benissimo di aver trovato i regali sul comodino, al risveglio. Un bel risveglio! C’era una bellissima e coloratissima paletta di plastica da vigile urbano… Ricordo ancora l’emozione.
Mia madre mi chiamava Roby, come anche oggi mi chiama mia moglie. Un soprannome che mi piaceva molto. Credevo che anche Robin Hood portasse il mio nome. All’epoca nella tv in bianco e nero della quale aspettavo spasmodicamente fino alle 17.30 la “Tv dei ragazzi” c’era una serie di telefilm sull’arciere di Sherwood che era, con Lancillotto, il mio eroe preferito. Per fortuna ero abbastanza grande quando seppi che Robin vuol dire semplicemente “usignolo”.
Mi piacquero anche altri diminutivi che mi affibbiarono, primo fra tutti “Bob”. C’era l’imbarazzo della scelta per le identificazioni: da Bob Kennedy a Bob Morse, mitico e fortissimo giocatore di pallacanestro, lo sport in cui riuscivo meglio, nonché astro della mia squadra preferita. I compagni mi chiamavano addirittura così, quando centravo il canestro nel campionato del liceo: “Bob Morse ha colpito ancora”. E infatti mi feci cucire il suo numero 9 sulla maglietta. 
Non ho mai avuto problemi a rispondere al “come ti chiami?” delle ragazze. Mi vergognavo molto di più del mio nasone, della mia magrezza scheletrica, della mia timidezza. Del nome, no. Quello era lo sperone del mio rompighiaccio nei rapporti con gli altri.  In un certo senso lo è ancora, quando lo posso spendere.

La vignetta di Gianni Carino (da: rainews24.rai.it)

sabato 6 novembre 2010

venerdì 5 novembre 2010

La preghiera di Kirk Kilgour (Los Angeles, 28 dicembre 1947 – Roma, 10 luglio 2002)


Kirk Kilgour aveva ricevuto tutto dalla vita. Bellezza, forza, successo. Era giovane, adorato dai suoi ammiratori, ben pagato per giocare a pallavolo in serie A, in Italia. In un giorno qualunque, durante un anonimo allenamento, la sua testa rimase incastrata tra due tappeti della palestra, il collo ebbe una torsione innaturale. Tetraplegico.
In una preghiera ha lasciato un ricordo che non passa, più importante di cento scudetti e di mille schiacciate ben riuscite.
 
Chiesi a Dio di essere forte
per eseguire progetti grandiosi:
Egli mi rese debole per conservarmi nell’umiltà.
Domandai a Dio che mi desse la salute
per realizzare grandi imprese:
Egli mi ha dato il dolore per comprenderla meglio.
Gli domandai la ricchezza per possedere tutto:
mi ha fatto povero per non essere egoista.
Gli domandai il potere
perché gli uomini avessero bisogno di me:
Egli mi ha dato l’umiliazione perché io avessi bisogno di loro.
Domandai a Dio tutto per godere la vita:
mi ha lasciato la vita perché potessi apprezzare tutto.
Signore, non ho ricevuto niente di quello che chiedevo,
ma mi hai dato tutto quello di cui avevo bisogno
e quasi contro la mia volontà.
Le preghiere che non feci furono esaudite.
Sii lodato; o mio Signore,
fra gli uomini nessuno possiede quello che ho io!



Kirk Kilgour. L'Angelo della pallavolo

mercoledì 3 novembre 2010

Un gigante: Gilbert Bécaud. Il suo capolavoro: Et maintenant

E adesso cosa farò
di tutto questo tempo cosa sarà la mia vita?
e tutte queste persone che mi sono indifferenti...
ora che sei partita.
Tutte queste notti, perchè per chi
e questo mattino che viene per niente
questo cuore che batte, per chi, perchè
e ora cosa farò
verso quale niente scivolerà la mia vita
e tutte queste persone che mi sono indifferenti...
ora che sei partita.
Tutte queste notti, perchè per chi
e questo mattino che viene per niente
questo cuore che batte, per chi, perchè
che batte troppo forte, troppo forte.
e ora cosa farò
verso quale nulla scivolerà la mia vita
tu mi hai lasciato tutta la terra
ma la terra senza te è piccola.
Voi, amici miei, siate gentili
sapete bene che non si ci si può far nulla
anche Parigi muore di noia
tutte le strade mi uccidono
e ora cosa farò
riderò per non piangere
brucerò notti intere
al mattino ti odierò
e una sera nel mio specchio
vedrò la fine del mio cammino
non un fiore e non una lacrima
al momento dell'addio

non ho veramente più niente da fare
Non ho veramente più niente...

La vita, i ricordi...


...ce lo sentiamo tutti qua, come un'angoscia nella gola, il gusto della vita, che non si soddisfa mai, che non si può mai soddisfare, perché la vita, nell'atto stesso che la viviamo, è così sempre ingorda di se stessa, che non si lascia assaporare. Il sapore è nel passato, che ci rimane vivo dentro. Il gusto della vita ci viene di là, dai ricordi che ci tengono legati.

Luigi Pirandello "L'uomo dal fiore in bocca"